Il primo sindaco musulmano di New York City è stato eletto dopo due anni di genocidio a Gaza, ha unito tante diversità nel nome di uguaglianza, dignità e diritti. Anche dei palestinesi
Di Michela Monte, tempo di lettura 5 minuti
Il movimento che ha fatto campagna per Mamdani è coeso contro un nemico comune: il suprematismo, economico ed etnico. I centomila volontari per “Mamdani Sindaco”, non si sono mossi per dividersi poi su questioni di razza o etnia, o per decidere chi odiare di più: la priorità per tutti era rompere l’alleanza tra corporations, multimiliardari e politici, obbligandoli a ridistribuire il 2% dei loro introiti per una città per tutti e non solo per l’élite di ricchi bianchi.
Un obiettivo non rivoluzionario, ma in sintonia con la cara vecchia lotta di classe e per questo una proposta da comunisti, “indecente, criminale, pericolosa che punta a distruggere tutto”, a far scappare gli investimenti, e a far piombare la metropoli simbolo del capitalismo in un nuovo medioevo. Una proposta sostenuta da un “nepo-baby (figlio di papà) antisemita, estremista musulmano terrorista, nella città dell’11 settembre”. E potrei continuare. Manco fossimo nel 1909, quando la propaganda dei partiti conservatori negli Stati Uniti e nell’Europa Occidentale, metteva già in guardia contro i diritti dei lavoratori.

La slavina di insulti e reazioni scomposte al limite del ridicolo, che questo programma elettorale ha generato, farebbe ridere, se non fosse vera. L’idea che lo Stato debba occuparsi di tutti i cittadini provoca rabbia quando si parla di tasse, ma qui siamo oltre, perché ciò che davvero disturba i più feroci detrattori di questa agenda dalla parte dei lavoratori, è l’idea stessa che lo Stato esista per tutti. Siamo negli Stati Uniti, dove solo qualche mese fa Elon Musk si aggirava con una sega elettrica per tagliare interi rami della funzione pubblica, anticipandone la scomparsa a favore di un sistema basato sul solo mercato, ai cui vertici ci sono gli ultraricchi. Questo voto era sì per il sindaco di New York City, ma il suo significato politico era anche quello di un referendum sull’agenda di Trump, quindi è intervenuto anche lui, Elon, per ricordare a tutti, di non votare per “Mumduni o qualsiasi sia il suo nome”.
E il suo nome è Zohran Kwame Mamdani, porta il nome di Kwame Nkrumah (1909-1976), un politico, filosofo e rivoluzionario ghanese , considerato uno dei padri fondatori dell’indipendenza africana. Nkrumah lottò per liberare il continente africano dallo sfruttamento economico e politico delle potenze occidentali, parlava di “neocolonialismo” già negli anni ’60, denunciando come l’Africa rischiasse di restare dipendente economicamente dall’occidente anche dopo l’indipendenza politica. Ora si capisce meglio perché a Musk sia indigesto questo nome, tanto da non poterlo pronunciare.
Mamdani è un attivista e politico socialista, un musulmano, critico nei confronti dell’occupazione israeliana della Palestina, che vince a New York City. Combinazione mai accaduta prima, resa possibile dall'”effetto Gaza”: due anni di genocidio hanno fatto esplodere una domanda globale di giustizia, anche da parte dei giovani ebrei americani. In rotta con la dottrina politica coloniale sionista basata su apartheid e genocidio dei palestinesi indigeni, gli ebrei antisionisti hanno serrato i ranghi, si sono opposti al genocidio con veemenza e hanno votato e fatto votare per l’unico candidato libero dal giogo della lobby filoisraeliana Aipac: Zohran Kwame Mamdani.
Simone Zimmermann, giovane attivista ebrea e voce di riferimento nella critica al suprematismo ebraico sionista, individua nell’antirazzismo, il motivo per cui Mamdani, da musulmano, ha incassato il 30% dei voti degli elettori ebrei, come spiega ai microfoni di Democracy Now a New York City a pochi minuti dall’annuncio della vittoria: “Mi chiamo Simone Zimmerman. Faccio parte della campagna “Ebrei per Zohran”. Sono membro del consiglio ebraico di Azione per la giustizia economica e razziale (Jews for Racial and Economic Justice Action). E sono al settimo cielo. Trump ha chiamato stupidi gli ebrei che hanno votato per Zohran. Ma siamo in un momento in cui abbiamo un’amministrazione che usa il razzismo e la paura e sta seminando terrore nelle città di tutto il paese. E gli ebrei non sono diversi dagli altri americani. Vediamo l’odio e il razzismo che stanno diffondendo, e ne siamo terrorizzati. E nonostante milioni di dollari siano stati spesi in questa campagna per spaventare a morte gli elettori ebrei, penso che vedremo molte persone riconoscere in Zohran una visione di sicurezza e appartenenza nella città di cui vogliono far parte, nonostante il messaggio sia spesso un altro: “Qui non c’è posto per te”. Zohran si è impegnato molto ad andare nelle sinagoghe, a raggiungere le comunità ebraiche in tutta la città, comunità ebraiche di tale diversità ideologica e religiosa, per dire loro: “Appartieni anche tu a questa città” E penso che la gente gli creda, e penso che questa sera lo stiamo vedendo”.

Uno dei passaggi più galvanizzanti del discorso della vittoria, accompagnata da un boato di gioia risuonato nel cielo di New York City, è di certo quello in cui Mamdani si rivolge direttamente a Trump e lo sfida perché tra pari, sa di non essere solo: “Se vieni per uno di noi, troverai tutti noi”, accolto da una pioggia di applausi.
Qui sotto la versione integrale sottotilata in Italiano.

