Il candidato a sindaco più popolare è un Dem. di rottura, guardato a vista da Washington. Se vince, Trump minaccia di deportarlo

di Michela Monte, tempo di lettura 5 min.

A New York City, solo un paio di giorni fa, in tanti ci hanno messo il proprio corpo per fermare le retate della polizia speciale ICE, il reparto agli ordini del Presidente Trump, agenti con il volto coperto a caccia di immigrati da arrestare in tutto il Paese e ora anche a Chinatown. Uno scenario fino a pochi mesi fa inimmaginabile nella “città santuario”, dove anche gli immigrati senza documenti possono iscriversi a scuola e accedere ai servizi sanitari, oltre a pagare regolarmente le tasse e lavorare.

Le squadre ICE hanno dato il via a macchia di leopardo agli arresti indiscriminati: a febbraio nel Bronx, a marzo nel Queens, da aprile a Brooklyn e ora anche ‘in the City”, dove è assurta a simbolo della resistenza, la coraggiosa donna, che nell’impeccabile vestito a pois (“Polka dots”) si è lanciata nella lotta corpo a corpo per fermare gli arresti, e si è piantata con il suo dito medio alzato, di fronte ai convogli ICE per sbarrare il passaggio, solidale e fiera tanto da diventare online un’icona di NYC, di fatto la nuova Statua della Libertà.

La retata a Canal Street mirava ai venditori ambulanti di borse contraffatte, ma, vista la tempistica, ha alzato la tensione in vista delle elezioni del 4 novembre, che vedono come favorito il cittadino naturalizzato americano Zohran Mamdani, candidato del Partito Democratico. In caso di vittoria Trump minaccia di bloccare tutti i finanziamenti federali per New York City e ha ventilato la possibilità per Mamdani, che accusa di essere comunista, di privarlo della cittadinanza e deportarlo, se si opporrà alle retate di ICE, come ha già anticipato di voler fare, dichiarando di voler proteggere i residenti da raid violenti e illegali.

Mamdani non è comunista ma socialdemocratico, oggi è cittadino ma prima è stato un immigrato. Nato in Uganda 34 anni fa, immigrato quando ne aveva 7, naturalizzato americano nel 2018, è cresciuto nel Queens, il quartiere più multiculturale al mondo, dove oltre alla sua carriera di musicista rap ha coltivato la sua esperienza politica, nelle file del Partito Democratico. Viene trattato alla stregua di un terrorista da Trump e dai repubblicani, perché intende introdurre servizi gratuiti in soccorso a famiglie e redditi più bassi (a New York si intende chi guadagna meno di 40 mila dollari l’anno, per affittare uno studio il proprietario richiede dai 50 ai 65 mila dollari l’anno): il suo piano prevede servizi per l’infanzia gratuiti, bus gratuiti, blocco del prezzo degli affitti e supermercati gestiti dalla città dove gli alimenti costano meno.

Con lo slogan “tax the rich”, che fu del collega di partito, Bernie Sanders, Mamdani entra in collisione con la lobby dei miliardari a New York, inviando un messaggio per il cambiamento a tutto il Paese: prevede di tassare del 2% chi guadagna più di un milione di dollari all’anno, circa l’1% dei contribuenti in città. Intende inoltre, introdurre anche un incremento della tassazione per un migliaio di corporations su un totale di circa 250 mila attività economiche. Secondo le stime della sua campagna, queste due misure genererebbero oltre 9 miliardi di dollari in più ogni anno, pari a un incremento dell’11 per cento delle entrate fiscali complessive della città. Mamdani vuole redistribuire la ricchezza generata a New York City a beneficio degli abitanti.

Nel 2016 la campagna di Bernie Sanders, sostenuta da un amplissimo movimento popolare, fallì perché boicottata dai Democratici stessi, che nella corsa alla presidenza gli preferirono Hillary Clinton, sostenuta dalle lobbies criticate da Sanders. Clinton venne poi sconfitta da Trump, che risolveva il problema della povertà criminalizzando gli immigrati e puntando alla costruzione del muro con il Messico. Fu allora che i Democratici persero la fiducia di lavoratori e classe media, immigrati e non. Gli stessi elettori che quest’anno hanno tradito l’agenda di Harris, per preferirle ancora una volta Trump o disertare le urne.

Oggi Mamdani torna a parlare a quell’elettorato deluso e ai giovani ventenni e trentenni, ai lavoratori che non riescono a pagare i conti seppur occupati e non trovano casa per gli affitti alle stelle, nella città simbolo del capitalismo, dei sogni che diventano realtà, ma che è sempre più inaccessibile a quegli stessi talenti che l’hanno resa grande. Mamdani conta su un vero e proprio movimento, 90 mila volontari che hanno trainato la sua campagna, e da zero lo hanno reso il candidato numero uno, un risultato storico.

Ha vinto le primarie dei Democratici sbaragliando Andrew Cuomo e ora è il favorito nella corsa contro lo stesso Cuomo, Democratico che si candida da indipendente appunto perché battuto alle primarie, finanziato da 22 multimiliardari. Terzo nome in lizza, Curtis Silwa, repubblicano e newyorchese vecchia guardia.

L’ampio sostegno popolare di Mamdani si deve al suo programma centrato sul rendere la vita in città “affordable”, non proibitiva, puntando su una rete di servizi pubblici necessari. E rischia di farcela a differenza di Sanders, proprio perché è un cittadino americano immigrato di religione musulmana, tutto ciò che sia democratici che repubblicani hanno finora lasciato ai margini se non apertamente messo da parte e stigmatizzato. Di fatto si tratta di un referendum sulla direzione che ha condotto la politica nazionale ad eleggere Trump Presidente, nell’inazione dei suoi oppositori a cui era richiesto un chiaro cambio di rotta.

Mamdani è un candidato di rottura radicale, non conta nemmeno sui capitali della lobby filoisraeliana AIPAC, e intercetta così i voti degli elettori persi da Kamala Harris durante il genocidio a Gaza, poiché rivendica la necessità di spendere i soldi dei contribuenti in servizi e non in bombe da fornire a Israele. E qui rischia di mietere consensi anche tra gli elettori repubblicani meno fedeli al culto Maga (Make America Great Again).